Tracce di misericordia

Vestire gli ignudi, ammonire i peccatori

Vestire gli ignudiLa nudità è una condizione originaria per 1’uomo. Lo racconta in maniera stupenda la Genesi, suscitando sentimenti di ammirazione e di rimpianto per un tempo – o meglio uno stato – in cui la creaturalità non era vissuta come realtà da difendere o da nascondere: «Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna» (Gen 2,25). Del resto, l’inizio e la fine di ogni percorso di vita sono segnati da un’irriducibile nudità, dove il nostro corpo non può che essere rivestito dalla premura e dalle mani degli altri.

Il profeta Ezechiele, parlando al cuore di Gerusalemme, paragona il popolo di Israele a una giovane creatura gettata nel mondo nuda e povera: «Alla tua nascita, quando fosti partorita, non ti fu tagliato il cordone ombelicale e non fosti lavata con l’acqua per purificarti; non ti fecero le frizioni di sale né fosti avvolta in fasce» (Ez 16,4). Il Signore non può restare impassibile di fronte alla nudità delle sue creature e il suo cuore lo muove a gesti di meravigliosa e affettuosa custodia: «Eri nuda e scoperta. Passai vicino a te e ti vidi. Ecco: la tua età era l’età dell’amore. Io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità» (Ez 16,7-8). Questa premurosa sollecitudine nei confronti della nudità è un istinto che nelle viscere di Dio non si arresta mai, nemmeno di fronte all’ostilità del nostro peccato: «Il Signore Dio fece l’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì.» (Gen 3,21).

Vestire gli ignudiCoprire la nudità di qualcuno non è un atto con cui ci si pone in relazione soltanto con il suo corpo, ma anche – e soprattutto – con la sua anima. A questo riguardo, il racconto di quando Noè, ubriaco e nudo, si corica dentro la sua tenda, contiene una raffinata e profonda antropologia. Mentre il figlio minore Cam rimane scandalizzato e non riesce a compiere alcun atto di misericordia nei confronti del padre e di questo suo momento di debolezza, «Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono la nudità del loro padre; avendo tenuto la faccia rivolta indietro, non videro la nudità del loro padre» (Gen 9,23). Per la loro delicata attenzione a non ‘vedere la nudità” di Noè come qualcosa di imbarazzante, ma come un appello a compiere un atto di misericordia, Sem e lafet verranno benedetti, mentre Cam sarà maledetto. La complessità dei racconti biblici ci fa capire che vestire chi è nudo non può ridursi a quelle azioni – pur necessarie – con cui facciamo pervenire qualche nostro soprabito a chi è nell’indigenza. Vestire chi è nudo come atto di misericordia significa lasciarsi incontrare dalla nudità dell’altro senza provare l’imbarazzo di chi non ha nulla da offrire. Guardare il corpo nudo di qualcuno e offrirgli un abito da indossare è occasione di misericordia se è occasione di relazione. L’altro, infatti, smette di essere nudo non solo quando riceve il vestito che gli manca, ma nel momento in cui è riconosciuto e accolto come persona, nella sua unica e amabile povertà.

Da sempre questa esperienza è la gioia della Chiesa e la forza della sua testimonianza: «Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,26-27).

Ammonire i peccatoriTra le opere di misericordia spirituale, la correzione dei peccatori è probabilmente la più delicata da mettere in pratica. Come dimenticare l’ammonimento di Gesù a quegli scribi e farisei che volevano lapidare una donna adultera: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7)? Eppure la “correzione fraterna” è prassi di amore richiesta da Dio fin dai tempi antichi, dopo che il peccato di Caino ha – drammaticamente — rivelato che siamo custodi gli uni degli altri: «Se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette il male, io porrò un inciampo davanti a lui ed egli morirà. Se tu non avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da luì compiute non saranno più ricordate, ma della morte di luì domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato» (Ez 3,20-21). Il profeta è chiamato a vivere come la sentinella, il cui compito non è di giudicare ma di osservare e riferire, non appena è in grado di scorgere qualcosa dal suo punto di osservazione. Dio chiede al profeta di assumere lo stesso atteggiamento che egli ha davanti alle sue creature: di custode vigilante e sollecito, disposto a tutto pur di non perdere nemmeno una delle sue pecorelle (cf Le 15,4-7).

Ammonire i peccatoriSi può ammonire chi è nel peccato solo facendo e dicendo tutto il necessario affinché l’altro non solo si penta, ma riceva anche la fiducia e l’amore indispensabili per non tornare più a fare il male. Per questo, come ha insegnato anche il Signore Gesù, ammonire può essere fatto in tanti modi: con fermezza (cf. Mt 23,13-32), con profondo dolore (cf. Lc 19,41-44), con amorevolezza (cf. Lc 22,31-34), persino con il solo sguardo colmo di misericordia (cf. Le 22,61). Solo chi ha sperimentato la gioia di essere salvato, del resto, può azzardare un atto di amore così delicato, nel quale il disagio e il fastidio iniziali sono poca cosa rispetto alla gioia che si viene a creare quando il peccatore si converte (cf. Lc 15,7.10): «Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono addestrati» (Eb 12,11).Ammonire i peccatori

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